Omeopatia in che senso?

Cosa è, e cosa aspettarsi da, una interpretazione “non convenzionale”
del concetto di salute e terapia

di ANTONELLA BEVERE

Scrivo nel 2020 e, nel corso di questi ultimi 30 anni, ho visto cambiare la considerazione sociale sull’omeopatia molte volte. 
Da “francamente non saprei” a “la cura dolce: prendi due granuli e passa tutto” verso “rischi di sottovalutare situazioni pericolose!” passando per “l’Omeopatia? Sono i No-Vax, vero?” per finire verso una Omeofobia aperta e dichiarata. C’è anche chi minaccia radiazioni dall’albo professionale e invoca esclusioni dell’insegnamento dai corsi universitari.

“Similia similibus curentur”   C.F. Samuel Hahnemann 
1810 – Organon der Rationellen Heilkunst

– Che i simili vengano curati dai loro simili.

Per fare chiarezza serve un po’ di storia:

Nel 1790 Hahnemann, mentre traduceva “Lezioni di Materia Medica” di William Cullen dal tedesco, si accorse di come il farmaco allora assunto per trattare la malaria, la corteccia di China, provocasse sintomi analoghi alla malaria stessa se assunto da persone sane. Sperimentò lui stesso questo effetto e chiese di farlo anche ai suoi collaboratori, riflettendo su quella Legge di similitudine su cui poi basò l’intera medicina omeopatica. 

Proprio sulla sperimentazione, in particolare sull’uomo sano e non solo sul malato, volle fondare lo studio della nuova arte di curare, sperimentazione che da sempre è ciò su cui si basa la descrizione dei sintomi e la loro catalogazione, definita Repertorizzazione

Per evitare gli effetti tossici delle sostanze sperimentate ne ridusse progressivamente le dosi scoprendo così come dosi sempre più diluite mantenevano, anzi potenziavano il loro effetto terapeutico (mentre diminuivano quello tossico). Vide e descrisse accuratamente come il modo di diluire e di miscelare la soluzione (tramite uno scuotimento manuale che egli chiamò Dinamizzazione) influisse sugli effetti evidenziati dalla somministrazione sulla persona sana.
Infiniti esperimenti, infinite relazioni e catalogazioni precise (caratteristiche che sono rimaste nel metodo di studio omeopatico) lo portarono a coniare il
Principio delle Diluizioni Infinitesimali in un saggio pubblicato nel 1796: il “Saggio su un nuovo principio per dimostrare il valore curativo delle sostanze medicinali” dà inizio all’epoca dell’Omeopatia. 

Hahneman aveva scoperto qualcosa di reale ma difficilmente spiegabile (a tutt’oggi esistono diverse teorie ma nessuna certezza su come “funzionino” le diluizioni infinitesimali): aveva tuttavia provato, con una tecnica empirica inoppugnabile, che i sintomi di una sindrome patologica vengono modificati e spesso eliminati dalla stessa sostanza diluita che, somministrata ad un soggetto sano, è in grado di provocarli.


In altri articoli esamineremo le teorie attualmente evocate per dare una spiegazione ai fenomeni dimostrati da Hahnemann e dai suoi discepoli sino ad oggi. Qui mi preme ribadire alcuni punti che ritengo fondamentali per un approccio onesto nei confronti dell’omeopatia:

  1. E’ un metodo sperimentale.
    La sua sperimentazione biologica è sull’uomo sano, gli effetti sono studiati sull’uomo malato considerato nella sua totalità. Le minuziose catalogazioni di sintomi formano quell’enorme mole di documentazione chiamata “
    Repertori” che viene studiata e incrementata ogni giorno con apporti di medici in tutto il mondo.  
  2. Nonostante si conoscano e si considerino le malattie così come sono nosograficamente intese nell’attualità, l’omeopata non interrompe mai, nemmeno per un istante, lo sguardo sull’uomo malato, sulla totalità del suo essere formato da corpo, emozioni, mente e anima.
  3. Nel considerare lo stato di equilibrio della totalità della persona Hahneman parla di una Forza Vitale (Dynamis) che risente dello stato morboso e lo manifesta attraverso i sintomi. Nello stesso modo, questa energia vitale viene influenzata, in modo tale da ripristinare o creare un nuovo equilibrio, da medicamenti preparati diluendo sostanze sino a non trovarne più traccia.
  4. La differenza fondamentale, più grande ancora della assenza “chimica” della sostanza terapeutica dalla diluizione somministrata (diluizione in cui sono stati immersi i noti granulini i di zucchero) è la famosa Legge dei Simili. E’ qualcosa di lontano dal nostro modo di pensare: noi siamo abituati ad affrontare una difficoltà con l’azione contraria e con questo cerchiamo di ritrovare l’equilibrio modificato. Se fa freddo mi riscaldo, se è buio accendo la luce ecc…
    Trasportando questa modalità in terapia ci è immediato, una volta abbinata la situazione ad un nesso patogeno (es. la febbre, i germi, il sovrappeso, l’ipertensione, il dolore) concentrare la nostra azione su di esso, e su di esso solo. Come se, sempre per fare un esempio, abbassando la febbre avessimo risolto gran parte del problema. O prendendo un antidolorifico (pur benedetto, eccome, molte volte!) il problema fosse risolto, sino al prossimo episodio da trattare sempre con un anti dolorifico. Preferibilmente lo stesso, perché sono sicuro che funziona. 
    Il medico omeopata non vuole e non potrebbe comunque negare il malessere connesso con il problema considerato (di cui spesso soffre anche lui, essendo umano) ma lo considera come parte di un quadro più ampio. Quadro che cerca di descrivere nei più piccoli dettagli, non solo per classificarlo (es. periodo dei Futuristi) ma per identificarne -permettetemi il paragone- l’autore.
    Dai tratti del pennello, dalla luce, dal tipo di colore, dal carattere del disegno arriva a capire che sì, quel quadro da restaurare è proprio di Picasso o di qualcuno che lo ha imitato alla perfezione. Solo il rimedio più simile (Simillimum) all’intero quadro, un Picassinum 200 CH per continuare nella stessa fantasiosa trasposizione,  sarà in grado, in modi attualmente misteriosi, di ristabilire un ordine, di restaurare l’intera opera d’arte.
  5. E quando, se il quadro è sempre ben tenuto e sottoposto a corretta manutenzione, un incidente ne rovina solo una parte? Anche in quel caso (malattia acuta) l’omeopata applicherà la legge dei Simili: cercherà di somministrare quella sostanza che di per sé è tossica (es. Arsenico) diluita in modo tale da essere “invisibile agli occhi” ma risultare terapeutica nei confronti dei sintomi che essa stessa è capace di provocare.
  6. Magia? Non di più di quanto lo siano le maree per chi non ne conosce il motivo, o il colore rosso del tramonto, o il televisore che si accende con un tasto del telefonino a distanza, per chi  vede senza sapere come succeda. Può essere vero anche ciò di cui non capiamo i meccanismi ma ne percepiamo la realtà. 
  7. E questo è generalmente il modo in cui si diventa omeopati: scettici, direi “haters” prima (come lo ero io) poi, di fronte ad una situazione grave personale o di chi ci è caro (per me lo è stata una malattia cronica, grave e invalidante di cui avevo esperienza nella mia famiglia, diagnosticata al mio bimbo appena nato), proviamo a sperare, desideriamo che ci sia un’altra possibilità terapeutica oltre a quella farmacologica (che spesso salva ma deve essere assunta a vita con effetti altrettanto fastidiosi della malattia stessa). Quando questo succede, e un bimbo di pochi mesi nel giro di una notte migliora drasticamente, quando si avverte personalmente che ad es. curando un “tunnel carpale” (esperienza personale) migliora la forza interiore che ci consente di afferrare al volo una situazione lavorativa che temevamo troppo impegnativa… quando infiniti esempi del genere accadono e si ripetono… allora si avverte l’obbligo morale di studiare, di affermare: “so di non sapere” “so di non capire” e “se c’è qualcosa che possa affiancarsi alla medicina chimica (che non viene negata), che con meccanismi diversi possa essere talora di maggior aiuto, è mio dovere conoscerlo”.
    Anche se ciò vuol dire rischiare personalmente, e capire chi non ci capisce. Del resto la derisione e il disprezzo accompagnarono Hahnemann sin dai primissimi passi.
  8. Allora è fatta? Siamo salvi e liberi dalle malattie, dai dolori? Siamo finalmente immortali? “Dottoressa, ho l’ulcera gastrica, che mi prendo?” 
    Purtroppo non funziona così: la guarigione è un
    percorso, che dura spesso tutta la vita, che coinvolge tutto l’essere umano e molto spesso ha bisogno di diversi approcci terapeutici. Per migliorare la nostra salute con terapie omeopatiche abbiamo bisogno di costanza, impegno, partecipazione attiva, desiderio di guarirci dentro, di capire che per stare meglio è importante diventare migliori.
    Non toppe o cerotti ma rinnovamento della Dynamis vitale, ciò che scorre in ogni essere vivente, quell’invisibile soffio di Vita che ci lega anche a distanza,  che ci accomuna al Creatore Supremo, la cui benedizione, compiuto il nostro dovere, rende il cuore traboccante di felicità. (S. Hahneman – 1810 – Introduzione all’Organon)

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