Approfondimenti su fermenti e dintorni
La legge definisce formaggio un prodotto caseario ottenuto dalla coagulazione delle caseine del latte, facendo anche uso di fermenti e sale da cucina.
La radice del nome coesus, riunito, rappreso, coagulato, (da cui cacio, caseificio, caseina, queso, Käse, cheese…) si abbina quindi al nome della cesta in cui veniva messo: il phormos appunto, in greco, (da cui forma, formage, fromage, formaggio…)
Qui però voglio raccontarvi cosa succede ad un altro impasto messo in “forma”, fatto di frutta secca oleosa (noci, anacardi, mandorle…) che fermentando consente di ottenere un prodotto dalla consistenza simile al formaggio. Non potendo essere definito tale per la mancanza del latte e è stato ribattezzato “Fermentino” da uno Chef incredibile, Daniela Cicioni, che ha organizzato e reso riproducibile questa particolare manifattura, facendola diventare una delle eccellenze golose italiane, riconosciuta anche all’estero, e ha mantenuto Open Source la sua produzione (ciascuno cioè può avere accesso a tutte le fasi di produzione e anche riprodurla, volendo).
Naturalmente vale la pena, per capire di cosa si sta parlando, acquistare i prodotti preparati da lei, che portano il suo nome: i Fermentini Cicioni presenti sul mercato bio in diverse possibili elaborazioni.
Vedrai come le si adatta benissimo la citazione che fonda il suo sito:
Io ho poi avuto il desiderio di far crescere anche a casa mia questi fermenti, provando e riprovando: questo mi ha aiutato ad apprezzare ancora di più l’eccellenza (in quelli preparati con maestrìa) ma anche ad amare quello che lentamente cresce tra mie dita, a capire come il tempo non sia qualcosa che corre e fugge via, da spremere e sfruttare, ma qualcosa che nutre e respira danzando al ritmo dei giorni e dei cicli universali.
Sì, per preparare un “fermentino” ci vuole molto tempo e molta cura, attenzione, amore, pazienza: silenzio e costanza, spazio interiore…rispetto delle regole per far succedere miracoli creativi. E’ il contrario di ciò che facciamo di solito: da noi vince chi va più veloce, chi risparmia tempo, anche a costo di non vivere. Solo Momo si accorge, nell’incredibile racconto di Michael Ende, che i Signori Grigi ci convincono a cedere loro il tempo risparmiato in cambio di un’efficienza apparente che va subito in fumo, spegnendo i colori della nostra vita.
Ecco allora come ho fatto io:
prendetevi il tempo che serve, mandorle e anacardi pelati e tostati in proporzione 1:3, naturalmente bio e non salati, e metteteli in ammollo in una barattolo di vetro ben coperti da acqua non clorata, per 24 ore, girando ogni tanto (io ho cambiato l’acqua dopo 12 ore).
Poi li ho scolati, ben sciacquati, lasciati leggermente asciugare all’aria, e messi in un frullatore potente in modo da poterli ridurre in crema, aggiungendo poco alla volta il siero ottenuto dalla preparazione del Labneh (fresco, appena ottenuto, ricco di fermenti lattici) se non ti ricordi come potrai sempre vederlo qui.
Bisogna frullare con delicatezza (con impulsi, senza lasciar andare le lame per tempi prolungati altrimenti si riscalda troppo l’impasto e si separa l’olio): in questo modo si può aggiungere la quantità giusta di siero, tale da far divenire la miscela simile a ricotta, sia nella consistenza che nella fine granulosità.
E poi inizia il periodo più delicato, la “maturazione”: ho versato l’impasto in un colino di metallo a maglie fitte, rivestito da un velo di mussola bianca (lavata accuratamente con acqua bollente, assolutamente priva di residui di detersivo e/o ammorbidente).
Coperto dai lembi della stessa mussola il prodotto va posto in un luogo a temperatura costante, tra i 18 e i 27°C , per circa 18 ore. Si gonfierà leggermente, perdendo il liquido in eccesso e diventando morbido e poroso all’interno, una vera e propria lievitazione dovuta alla fermentazione, che rende disponibili e predigerite molte sostanze contenute nella frutta secca. Assaggiato deve avere un sapore leggermente acidulo, un retrogusto legato alla frutta di partenza e un aroma delicato.
A questo punto si può delicatamente versare in una ciotola pulita il composto, condirlo leggermente a piacere (io ho usato poco curry e sale, ma anche profumi più mediterranei vanno bene, chessò: pepe rosa e prezzemolo essiccato o noce moscata e polvere di scorza di arancio… a ognuno i suoi gusti!), mescolare molto delicatamente e metterlo in piccoli contenitori in porzioni di 80-100 gr, in modo che possa continuare ancora un po’ la sua maturazione in frigo (dove si mantiene per circa 4 giorni, nel settore verdure fresche).
Se invece si amano sapori più decisi e asciutti, va messo a stagionare in un’essiccatrice per circa 24 ore alla temperatura di 45°C girandolo almeno un paio di volte durante il processo.
Ne vale la pena! E’ un cibo vivo, capace di farci vedere come le capacità nutrizionali siano matematicamente legate non solo alle Kilocalorie che sono unità di misura energetica quindi capace di produrre un Lavoro (esattamente l’energia necessaria per innalzare di 1 °C la temperatura di un kg di acqua distillata a pressione di 1 atm), ma anche alla vitalità, cioè al Lavoro che ciò che vive ha svolto e continua a svolgere, di difficile misurazione matematica. 100 gr di un vasetto di yogurt o 20-30 gr di fermentino forniscono calorie misurabili ma un’energia vitale incommensurabile.
Il mio consiglio è di essere molto prudenti nelle quantità con tutti i cibi fermentati. Del resto pensate anche ad altri esempi: birra, aceto, vino, roquefort o parmigiano… l’avidità nelle dosi spesso ne pregiudica i benefici.
I miei figli dicono che al supermercato io controllo le tabelle nutrizionali anche dei detersivi 😉
Sì, è verissimo: dei cibi controllo la provenienza, gli additivi e soprattutto la percentuale dei vari macronutrienti (proteine-carboidrati-grassi, fibre, sale…).
Ma tutto ciò vale per i cibi morti: contare solo questi valori per un cibo vitale è come comprare un libro a seconda del peso, o utilizzare gli stessi parametri del latte artificiale quando una mamma allatta al seno o valutare un’esperienza in termini solo economici.
La vita è altro!
Per non perderti neanche un articolo
e non preoccuparti, anche io odio lo spam
Dott.ssa Antonella Bevere
C.F.
P.IVA
info@antonellabevere.it