Corso per pazienti principianti

Gli step per diventare un paziente omeopatico perfetto.
Lezione n. 1

di ANTONELLA BEVERE

Noi medici siamo obbligati a fare corsi di aggiornamento costanti ma chi pensa ai pazienti?

Ho pensato dunque di creare un piccolo corso per trasformarvi nel paziente che ogni medico sogna di avere 😏

1° step: sapere che ci si metterà in gioco

Ci si incuriosisce riguardo all’omeopatia per i motivi più disparati: abbiamo conosciuto qualcuno che non userebbe altro o chi inveisce odiandola come il fumo negli occhi, ci hanno detto che è magica o che è acqua fresca, siamo disperati perché “le abbiamo provate tutte” o speriamo di poter evitare quella cura farmacologica che, si sa, “è un po’ pesante”. Oppure, semplicemente, perché tra i parenti c’è un medico omeopata che “mi cura lui”, o perché pensiamo di curarci con le “erbe” e poi magari ci ritroviamo una bottiglietta di Arsenicum 30 CH o di Lac Caninum 200CH (latte di cagna): “dottoressa, ma… sicuro che non è tossico?”

In questa serie di articoli non tratterò delle “dimostrazioni” sull’omeopatia, se e come funziona (troverete queste discussioni altrove anche in questo sito): qui voglio stare dalla parte del paziente, nella sua ineludibile domanda, cosa si aspetta e, soprattutto, come si deve impegnare. Sì, perché, oltre a quello del medico, l’impegno del paziente in un rapporto “omeopatico” è fondamentale. Non si tratta di fare tutto quello che il medico che lo prende in cura  dice, questo di solito è utile ma non sufficiente: si tratta di mettere se stessi nel processo di guarigione. Può sembrare scontato, ma non lo è assolutamente. Ovviamente il malato farà quello che può, a seconda della situazione, dell’età, delle condizioni fisiche. Importante è che faccia tutto quello che può. A poco a poco, man mano che il processo di guarigione procede, vedrà che può sempre di più, che percepisce la sua forza, che riesce ad attuare cose che prima non erano possibili.

Vuoi guarire?

Non dire facilmente di  sì, poi magari non è vero.
Perché non è facile voler guarire;
accontentarsi, arrangiarsi, trascinarsi è più facile.
Guarire è come salire una montagna: è bello certo, ma è sempre salire.

Non dire: “Come faccio così come sono ridotto?”
Il medicamento (omeopatico) che prenderai te ne renderà capace.
Ma è sempre salire: si è piuttosto soli, molti restano giù, magari qualcuno a cui vuoi molto bene…
Eppure se vuoi guarire puoi sempre sperare di tornare poi a prenderlo…

Non dire per scusa: “non sono malato”.
Sei come tutti gli altri, ma non dire che stai bene…

Tralasciamo certe manifestazioni più vistose che pure sono in te, abituali o saltuarie, ma la radice che è dentro (di noie, di esagerazioni, di indifferenze, di paure, di superstizione, di dubbi mai risolti, di ricerche inutili, di sfiducia, di rivolta, di rancori, di collere ingoiate, di lutti non elaborati, di materialismo, di traumi non superati, di accanimento, di prepotenza, di vizi….) vuoi veramente strapparla e buttarla via?

“Non rimane niente altro” dirai. Altro ché, invece! Affiorerà tutto un fondo leggero, pulito, un sapore, un incanto, una gioia, un amore, te stesso. Come essere uscito nuovo dalla sorgente, dall’essere, dalla vita. Abitualmente sarai sereno, contento, ti sentirai mosso da un vento di spirito verso un luogo che non sai (forse non ricordi) ma che è meraviglioso…

Forza vitale e Omeopatia – F. Meconi – Ed- Palombi



2° Step: Si sceglie un omeopata

Si giunge quindi in uno studio medico (o in una televisita) nuotando nel mare magnum di internet, dietro indicazioni di conoscenti, tra omeopati unicisti, omotossicologi, antroposofi, altri specialisti in medicine non convenzionali… e tutto ha inizio (io seguo l’omeopatia classica, unicista, giusto per saperlo).

“Si accomodi e mi dica, cosa la porta da me?” – ma la visita è già iniziata prima: dal contatto telefonico (se è stato direttamente con il medico), dall’aspetto mentre si attendeva (forse per questo, anche, si chiama sala d’aspetto), dall’espressione, dai vestiti, il modo di camminare… quel bonding profondo che si stabilisce tra due esseri in relazione. Non è un calcolo nella testa,  è apertura, disponibilità alla ricezione, è empatia che nasce immediata “tra” chi chiede aiuto e chi porge la mano (a patto che quest’ultimo non abbia mai smesso, neanche per un giorno, di studiare, crescere, in prima linea). Da subito il medico offre se stesso quale specchio di risonanza alla situazione del paziente. Quei primi gesti, quelle prime emozioni risuonano come campane all’inizio delle celebrazioni. Quante volte mi è successo che nella frase detta quasi casualmente nel corridoio verso lo studio (o quando compare l’immagine sullo schermo in caso di visite on line) ci fosse, in nuce, tutto il senso profondo della visita, il leit motiv che misteriosamente riappare nel momento del commiato.

Allora… mi è venuta la gastrite!” (o quello che sia)

“E, come sta?”

Màh! E’ una gastrite, mi fa male lo stomaco! Prendo farmaci, ho fatto gli esami, la gastroscopia… eccoli. Forse è lo stress!

“Guarderemo certamente gli esami, saranno importanti per aiutarci a capire. Ma lei cosa mi racconta? Perché, sa, una gastrite come la sua ce l’ha solo lei…

Occhi sgranati e poi, piano piano, avviene lo shifting: dal pensiero che in effetti sia la gastrite ad avere noi, di essere vittime della malattia, si passa all’idea che siamo noi ad avere lei, anzi a generarla, a esprimerla, e, con lei, ad esprimerci.

Spesso da quel momento la descrizione dei sintomi inizia in maniera vivida e colorita, con termini particolareggiati e attenti: si scoprono insieme relazioni, modalità, sensazioni che prima venivano ignorati nella sintesi della diagnosi.

3° Step: il desiderio e il miracolo

 E il terzo passo è un miracolo: il sintomo smette di essere il nemico contro il quale concentrare le forze: diventa un messaggio, una parola che è indispensabile ascoltare e capire, qualcosa che viene da dentro di noi e che si modificherà quando cambierà il messaggio. Un ascolto profondo, che dà valore alla domanda che vale sempre la pena di farsi: come sto? Quell’ascolto è diventato possibile perché ho visto che quello che provo interessa a qualcuno, qualcuno che funga da “mediatore linguistico” tra il mio essere e il mio corpo: qualcuno che esaminerà con scrupolo e attenzione il mio corpo e i miei esami, che sia aggiornato su tutti gli approfondimenti scientifici, che sappia quando chiedere aiuto a colleghi specialisti, ma che non ritenga mai il paziente solo come un insieme di parti meccaniche, ingranaggi e reazioni biochimiche da riparare dall’esterno sino a che non si ottenga un livello standard di funzionamento: a volte è indispensabile, ma se limitassimo  così l’atto medico avremmo perso l’infinita possibilità di dialogo con noi stessi, dialogo per il quale serve tempo, ascolto, scienza, coscienza, sapienza e… prudenza.

Soprattutto il paziente deve sapere che servirà tempo: raramente entrerà dal medico per uscirne cinque minuti dopo con una ricetta che gli cambi la vita, non avrà la soluzione con una telefonata (salvo in situazioni acute). Sempre, il rimedio omeopatico, ben scelto, lo aiuterà a “migliorare” i suoi sintomi nel modo più rapido possibile, a volte “miracoloso”, ma quasi sempre diverso da quello che ci si era immaginato.

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Dott.ssa Antonella Bevere
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