Il digiuno tra mito e moda.
Ovunque nel mondo si mangi, si prescrive in qualche modo il digiuno.
Libri, siti, guru, studiosi, propongono ininterrottamente nuove modalità di alternanza cibo/astinenza che promettono grandi benefici. Dal digiuno intermittente alla restrizione calorica, alla dieta mima-digiuno, vendere un non-cibo, oltre che salutare, può risultare molto redditizio!
Smorzato l’appello ai digiuni religiosi, ecco un’eco sempre più vasta dei regimi alimentari che prevedano periodi di 12-14-24 ore di digiuno, con frequenze e schemi variabili a seconda degli “ultimi studi”, dello sportivo o del testimonial del momento.
Il digiunare, alle nostre latitudini, appare come un esorcismo nei confronti di obesità e malattie, rimedio agli eccessi, strumento di autocontrollo e di potere sulla propria salute.
Ma già spontaneamente gli animali e i bambini digiunano quando sono ammalati e ciò sembra favorirne la guarigione, consentendo alla
vis sanatrix naturae di concentrare i suoi sforzi nei processi difensivi a scapito di quelli anabolici, cioè metabolico/costruttivi.
Numerosi studi seri confermano l’efficacia in termini di benessere di periodi di “riposo” per il nostro sistema digestivo, come del resto è piuttosto ovvio immaginare. Gli studi sempre più numerosi sul microbiota intestinale (la nostra dolce metà) dimostrano come già dopo 16 ore di digiuno la popolazione che ospitiamo nel nostro intestino cambi nettamente, dando la prevalenza a batteri capaci di produrre generosamente metaboliti fondamentali e neuro-mediatori che favoriscono attenzione, focalizzazione, disposizione all’attività fisica.
Ci sono molte attività di restauro delle nostre strutture energetiche (biochimiche, fisiche, cerebrali, ormonali ecc…) che l’organismo compie durante i periodi di pausa (sonno e digiuno), adattandosi a intervalli e campi elettromagnetici cosmici.
Per quanto riguarda l’aspetto etico il digiuno viene sostenuto con tanta più forza quanto più l’essenza trascendente (che per il materialismo/edonista è il concetto di salute o prestanza fisica) viene vista come antagonista della materia e delle esigenze corporee. La “conoscenza del bene e del male” (cioè la separazione tra di essi) viene rappresentata nella Genesi come l’atto di mangiare un frutto dal quale era stato chiesto di digiunare, appunto.
Astenersi dal cibo: strumento di autocontrollo e segno di obbedienza nel Ramadan musulmano, pratica ascetica che consenta di non perdersi nella corporeità ma di raggiungere le vette della spiritualità e dell’illuminazione (Induismo, Buddismo, Taoismo), rito di penitenza che celebri il ricordo e induca al pentimento per implorare misericordia (Kippur ebraico), segno di libertà del trascendente (digiuno di Gesù nel deserto) per crescere nella Carità (“il Sabato è per l’Uomo e non l’Uomo per il Sabato”) nel digiuno e nell’astinenza cristiani.
Contrazione ed espansione: è vivo il cuore dell’universo.
Musica e danza sono fatte di alternanze, di ritmi, di suono e silenzio, di movimento e di pause, di evidenze e nascondimenti. Sonno e veglia, cibo e digiuno, nascita e morte: ciascuno danzi come fiamma ardente, libero di rimanere sé stesso in un’armonia polifonica.
Il cibo sembra essere oggetto di un amore-odio, necessità-paura, che ha la sua espressione visiva nelle forme, molto evidenti nelle società del benessere, di anoressia/bulimia anche esse talora vissute socialmente tramite il web.
Come regolarsi, quindi? Prima di tutto con gratitudine per il fatto di poter decidere autonomamente gli intervalli tra i pasti (cosa non scontata).
Poi attenzione accurata verso la propria situazione che difficilmente ricalcherà quella di altri.
Molto spesso mi è capitato di aiutare pazienti a scoprire il loro personalissimo ritmo di alimentazione, con intervalli più o meno lunghi di digiuno e, soprattutto, periodi di astinenza (cioè periodi limitati di evitamento) di alcune sostanze.
Come regole generali posso affermare con certezza solo che:
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